IL NOSTRO TEMPO


UN MASCALZONE




Qualche tempo dopo il rientro in Europa, Brunori rivide per caso l'editore-giornalista alla Fiera del Libro di Francoforte, tappa obbligatoria per quanti comunque coinvolti nella carta stampata. 

Il giornalista rimase lontano e in disparte; sembrava come se volesse sgattaiolare per il timore d'avvicinarsi a Brunori.

Questi gli andò incontro senza esitazione e con un grado elevato di sincerità gli disse che non gli serbava rancore per quell'articolo.

Si è quello che si è, con o senza quell'articolo, ha sempre pensato Brunori .

Tuttavia, quell'articolo fu motivo di amarezza, molto più che una pugnalata alle spalle.

Allora valutò con sofferta calma la situazione; decise di non prendere iniziative ad eccezione dal fornire chiarimenti a poche persone degne di stima.

L'articolo - voluto dall'editore - fu fatto firmare da una collaboratrice della rivista ch'era bilingue, come lettera alla redazione e fu pubblicato solo in italiano; coincise con il trasferimento di Brunori in un paese asiatico.

A Francoforte, superata l'iniziale freddezza e dopo i convenevoli, l'editore confermò che la testata, già ceduta a terzi, non veniva più pubblicata.

Più che rivincita, sembrò una vittoria - anche se tardiva o parziale - a Brunori.

Chi, ingiustamente, immotivatamente o per cause comunque non oneste 1' osteggiava finiva per distruggersi; sembra sia stato così anche in questo caso.

Il testo dei chiarimenti di Brunori che segue, ora appena modificato per comprensibili motivazioni, sembra eloquente.

La rivista ha una tiratura limitata; con testi sia in italiano sia in tedesco è distribuita per abbonamento ma spesso diffusa gratuitamente, come avviene da molti anni anche per chi scrive. Non convince nessuno. È solo un mezzo di pressione, non di informazione. I contenuti lo dimostrano. La rivista vive di pubblicità che cerca di acquisire, ad ogni costo e con tutti i mezzi.

Fino ad oggi (Anni Ottanta) la rivista si è, pur di malavoglia, accontentata di quello che da noi ha ottenuto: taluni annunci pubblicitari in concomitanza con iniziative festaiole per importi limitati e, comunque, adeguati alla, si fa per dire, sua diffusione.

Con la recente fondazione dell'agenzia tutto fare, pure di proprietà dell'editore, ciò non può più bastare e nuoce la funzionalità, l'efficienza e la stima - forse immeritata - dell'avamposto.

Il portaborse in loco, pur costrettosi ora ad un riavvicinamento con l'editore, non ha potuto fare a meno, circa un mese fa, di riferire che questi, rivoltosi a funzionari pubblici del Meridione per l'acquisizione di iniziative, si è sentito rispondere che, se qualcosa le stesse realizzassero, lo farebbero come in passato, insieme con il responsabile dell'avamposto. Ciò, fra l'altro, ha ulteriormente convinto l'editore ad attaccare il capo dello stesso, chi scrive.

Inoltre, l'editore tramite l'agenzia tutto fare ha programmato una settimana d'arte italiana ed ha, insistentemente, cercato di ottenere, senza finora riuscirvi, finanziamenti dalla sede periferica dell'Ente dell'altra città, competente per materia, cui si è cercato di dirottarlo.

Ha presentato un preventivo di spesa di diverse centinaia di milioni di lire, per la sola fase iniziale.

L'editore-agente-giornalista ha ora fretta di concludere poiché, altrimenti, rischierebbe di non far fronte agli impegni, di pareggiare un bilancio senza utili o di andare in perdita, ipotesi quest'ultima più probabile.

L'iniziativa ha il patrocinio dei portaborse, ai quali ciò non costa nulla e che cercano di tenerlo buono.

Pare che avrebbe già ottenuto anche fondi da tutti coloro che possono lasciarsi spillare, non pagando ovviamente di tasca propria.

Chi paga è sempre pantalone!

Ciò malgrado, tali fondi non sarebbero ancora sufficienti.

Pur conoscendo i nostri compiti ed organizzazione, l'editore non ha esitato ad esercitare, dirette ed indirette, pressioni affinché lo si aiutasse ad introdursi presso distributori locali e si perorasse per lui presso le venti più importanti industrie della zona l'acquisizione di investimenti pubblicitari per un numero speciale che uscirebbe in concomitanza con la settimana d'arte, pur senza presentare il piano definitivo delle spese.

L'editore cerca, anche attraverso tali mosse, un aggancio con i centri decisionali primari della Capitale. L'attacco al di là di quello che può sembrare, non è personale ma è rivolto a chi, alla Centrale, non gli dà quello che chiede.

Non contento di quanto ha finora ottenuto, l'editore vuole di più e, come al biliardo, indirizza una palla verso una sponda per colpire quella opposta, più importante finanziariamente.

La riprova che gli interessano gli interlocutori in Italia risiede anche nel fatto che l'articolo è stato pubblicato solo in italiano e non è stato tradotto; ciò sarebbe stata una perdita di tempo ed avrebbe avuto l'effetto di inimicargli tante persone che localmente non lo tollerano più. Scrive, infatti, molto negativamente anche dei personaggi in vista locali.

Per altro, come già fece contro il portaborse accreditato in questa città (diversi articoli di fuoco e di fiele e talune interrogazioni parlamentari), non firma il testo (l'articolo in questione); non è da pensare che gli mancherebbe il coraggio, ma si lascia la possibilità di riprendere le relazioni non appena gli si fornisse uno spunto.

È quello che vorrebbe anche in questo caso.

La tattica dell'editore, ha, poi, altro scopo: essendogli noto che il capo dell'avamposto - chi scrive - sta per essere trasferito, conscio quindi che comunque qui non gli potrà più essere utile (in passato, lo si è aiutato anche molto), lo attacca, cercando di condizionare e, ad un tempo, di avvertire il successore. 

La stessa metodologia, o meglio strategia, è stata seguita contro il vice-portaborse; il successore di quest'ultimo, infatti, appare immobilizzato e insicuro.

Non sa, letteralmente, che pesci prendere o a che santo votarsi; sembra un simpatico fantoccio!

Dei contenuti della rivista ormai nessuno si meraviglia; a seconda delle situazioni, è, infatti, una volta pro e la volta successiva contro la stessa persona e, soprattutto, è contro quando non ottiene quanto pretenderebbe. In passato, il destinatario dell'attuale articolo - chi scrive - è stato incensato e presentato come eroe o candidato al premio Nobel sulla rivista, sia per l'attività principale e ufficiale, sia per quella personale e privata, di pittore.

La stessa persona è, dunque, descritta come santo e, poi, come diavolo, a seconda dell'interesse. A dimostrazione di quanto precede, basti ricordare che con il portaborse, dopo articoli di fuoco e interrogazioni parlamentari, ora l'editore è in rapporti idilliaci.

E qui non rileva la diplomazia, ma gli interessi e il vivere anche se irrequieto.

E vi sarebbe pure da chiedersi su quali incomprensibili basi si fonda ed a che cosa mira tale nuova alleanza?

All'inizio della scorsa primavera, stanco delle insistenti e crescenti pressioni, si era predisposta un'informativa con la quale si illustrava il problema; si decise, poi, di soprassedere, sicuri che anche alla Centrale ormai conoscevano bene la rivista e che nulla di nuovo si sarebbe potuto aggiungere. 

Ci si limitò ad informare telefonicamente circa i più recenti sviluppi della situazione.

Per estremo scrupolo, ci si è posti anche la domanda se - oltre a finanziare la rivista, possibilità per questo avamposto comunque preclusa - ci sarebbe stata una sola via onesta per evitare quell'articolo; si è dovuto concludere che non vi sarebbe stata.

La rivista, infatti, ha scritto male su tutti (portaborse e vice, tutti i precedenti capi dell'avamposto, rappresentanti di aziende, eccetera).

Perché anche una sola eccezione?

Perché la rivista non era una regola grammaticale ma una vera mascalzonata.

torna all'indice

Felicità