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IL PICCHETTO D'ONORE



Stanco del comportamento di Cretino e Marcantonio - protetti, soprattutto il primo, nella Casa Padronale Centrale da Strabico ed entrambi, in loco, da Asino - esperto nell'arte della cautela (ovvero diplomatico nell'animo?) e in traffici illeciti, non perseguibile, come spesso egli ricordava, per il suo credo professionale e pertanto più sicuro e forte che mai, Siconolfi andò pur senza essere atteso da Asino, che lo ricevette subito e senza problemi.

Protestò, per il modo di fare del duetto Cretino-Marcantonio, chiedendo nel contempo che intervenisse per ripristinare, grazie al suo ruolo sul posto, il loro corretto comportamento.Ricorrere alla Casa Padronale - aggiunse - ora sarebbe troppo tardi; non si poteva attendere ulteriormente.

Tergiversò; si disse incompetente; cercò di lavarsi le mani, anzi se le lavò, con compiacimento, e senza usare acqua o sapone.

Siconolfi parlò più chiaramente, espose in maniera precisa colpe, responsabilità, omissioni e abusi dei due; era nervoso, rimase per quanto possibile calmo.

Quell'altro non ebbe il coraggio di ribattere; era costituzionalmente ipocrita, falso, vile e bugiardo ma forte, protetto notoriamente da Numero Uno, come un premier di quei tempi.

Era stato il più in vista della sua orchestra particolare nell'eterna agglomerazione urbanistica. Un autentico portaborse.
Mentre Siconolfi parlava, Asino alzò la cornetta del telefono e sussurrò poche parole alla fidatissima segretaria, perfettamente padrona della lingua e non di religione zoorastriana, l'unica che, da tempo, godeva dei vantaggi riservati alla casta dei cautelati per nascita.

Non s'udirono le parole, parlava sottovoce; Siconolfi non immaginò alcunché; tutto sembrò usuale, di routine.

Andò avanti nell'esposizione delle lamentele e comprese che non era riuscito a tirar fuori nemmeno un ragno dal buco.
Non gli restò altro da fare se non sperare in un miracolo, apprestarsi a congedarsi dall'ipocrita non prima d'averlo ringraziato per averlo ricevuto senza appuntamento.

In quella città dal clima tropicale ed a quell'ora, poco dopo mezzogiorno, il condizionatore, come al solito, era spento in quella enorme stanza riservata ad Asino.

Siconolfi sentì istintivamente Asino, seduto di fronte a lui, più freddo e gelido del solito, glaciale, distaccato, contrariato, nemico, costruito essenzialmente con cattiveria purissima.

Che altro fare? Da Asino dipendeva per un'infinità di cose pratiche: permessi, autorizzazioni, documenti, approvazioni e altro ancora, per se stesso e per la sua famiglia.

Si alzò, strinse la mano ad Asino e si accinse ad uscire per la solita porta, che aveva ben memoriazzato, per i frequenti incontri di lavoro con l'ex portaborse.

Si sentiva quasi liberato da un peso; s'era almeno sfogato.

Asino gli chiese di uscire insolitamente da una porta che non aveva mai notata, mimetizzata perfettamente nella parete a libreria e che non si osservava affatto.

Fu sorpreso. Immaginò un concomitante visitatore, un piccolo riguardo per lui (meglio che niente, pensò), ovvero riservatezza attribuita all'incontro o, infine, l'intento d'evitargli di risalutare stuolo di impiegati, segretari, collaboratori, guardie personali, militari e questuanti stanziali negli uffici.

Imboccata quella porta, risalutato Asino, si ritrovò - quasi incredulo - dal lato opposto di dov'era entrato, sullo stesso pianerottolo, nel quale, come in una visione irreale, da favola, da illusionisti, erano schierati in fila almeno otto militari, nella divisa del luogo; quasi tutti generalmente stavano seduti nell'ingresso o negli uffici antistanti riservati ad Asino; molti avevano volti conosciuti.

Appena videro Siconolfi, l'aspettavano, è ovvio - Asino aveva nel frattempo chiusa quella porta - alzarono la mano al livello della fronte e, come automi, contemporaneamente e in modo energico, elegante e formale, alla maniera inglese, fecero il saluto militare, in suo onore; Siconolfi era l'unica persona in quel pianerottolo.

Pur non familiare a tali attenzioni e sorpreso, intuì quello che ciò significava inequivocabilmente; finse, invece, di non capire, andò avanti per scendere normalmente. Salutò con un cenno di sorriso, più o meno come sempre.

Conosceva di vista quasi tutti quei militari; alcuni avevano anche prestato servizio nella sede periferica, cui era preposto, per protezione - si diceva - o per spiare, come si credeva.

Ma per conto di chi spiavano? Di Asino o di altri? Sicuramente per Asino e per gli altri!

I militari ripeterono il saluto quando fu loro vicino, mentre iniziava a scendere le scale e tennero la mano sulla fronte fin quando non fu fuori dalla loro visuale.

Era il picchetto d'onore, quello riservato ai nemici di rango vinti, a prigionieri o traditori, a morti, comunque meritevoli, degni di riguardo.

Poiché Siconolfi non era da considerare meritevole o morto, non potendo essere assimilato a traditori o prigionieri, non avendo collaborato con i delinquenti, ma, per di più, avendo ingenuamente fatto soltanto quello ch'era giusto, quello che era istituzionalmente il dovere, era da ritenere un nemico vinto; di rango, solo moralmente?

Quindi, il picchetto d'onore!

Una vera farsa.

La fine era stata, dunque, decretata, con giudizio definitivo, inappellabile.

Dopo una decina di giorni la Casa Padronale Centrale impose di rimettere nelle mani di Cretino ogni cosa, abbandonare tutto e andar via.

Non era mai accaduta, non s'era mai vista una cosa del genere.

Fuori di ogni logica o prassi e senza parlare di diritti, non si aveva memoria e non esisteva precedente nel quale l'Ingenuo onesto fosse estromesso e , al suo posto, subentrasse il Cretino. Pura follia! Con tali decisioni, distrussero definitivamente la Casa Padronale, traballante da anni.

Stellette d'oro e diamanti furono strappati dalla divisa con predeterminata disonestà.

Rientrato nella Casa Padronale un tale, che cercava di dimostrargli solidarietà, disse a Siconolfi: ora devi trovare il modo di uscire dal pozzo nel quale sei caduto.

Nemmeno per un attimo, Siconolfi ha perduto fiducia in se stesso, nella vita. Non importa se è uscito da quel pozzo o se mai ne uscirà.

Quel pozzo per lui non è mai esistito. Ha fatto quello che riteneva giusto e di cui era ed è tuttora convinto.

È esistita la sua decisa e ferma volontà di poter dormire sonni tranquilli; di svegliarsi la mattina, guardarsi allo specchio ed avere rispetto di se, sicuro di aver fatto quello in cui credeva e fermamente crede, certo, parimenti, di sapere che è tutt'altro che perfetto, come tutti del resto.

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Ventiquattro Gennaio