STAGIONE DELLA VITA


COMPAGNO DI GIOCHI 



Un compagno di giochi un po' viziato, litigioso, grande amico dell'infanzia. I due vennero alle mani, non si sa più il motivo. Il futuro missionario tirò con forza le bretelle dei pantaloncini corti dell'altro, nuovi, che sua madre gli aveva tagliato e cucito con le sue mani e che non ressero più. Dovette tenerli in vita; andare a casa e cambiarsi.

Le madri si lamentarono a vicenda. Erano dispiaciute e i due sempre più insieme.

Cadde a terra il portamonete di pelle, nuovo, che al più piccolo piaceva tanto; l'altro lo trovò. Disse ch'era suo e non lo rese più.

Da grande, gli si ricordò l'episodio; si rammaricò molto, chiese scusa, anzi perdono.

Era ormai nel paese africano, all'interno, preposto ad una missione protestante.

Se si ritornava al villaggio natio, si chiedevano notizie dell'amico missionario alla sorella o al fratello; i genitori e le anziane zie erano ormai morte.

Abitavano sempre la stessa casa senza tempo.

Confermavano che stava bene; ch'era contento e che aiutava la gente del posto e, soprattutto, gli ammalati; faceva da infermiere, da medico, da insegnante; si occupava della gestione della scuola e della missione; aveva imparato la lingua locale e si rendeva, più che utile, insostituibile.

Tutti gli volevano bene, faceva parte integrante di quella comunità.

Ottenuti telefono ed indirizzo; gli si inviarono prodotti farmaceutici e medicine, campioni gratuiti che si chiedevano a conoscenti o ad amici medici.

Gli si telefonò e, per l'emozione, si riuscì a dire poche parole; l'altro capì e, nel loro dialetto, disse ti voglio bene e poche altre cose. S'era contenti per il suo impegno verso il prossimo.

Quell'incontro telefonico era come ritornare all'infanzia; forse anche per questo non si riusciva ad esprimersi liberamente quando talvolta si parlava al telefono con il missionario di ora.

Successivamente, non avendo sue notizie da qualche tempo, si chiesero alla sorella.

Disse ch'era morto, per un'infezione e fu, comunque, imprecisa; non la si trovò convincente.

Si approfondì l'argomento con un cugino, ch'era stato pure nel paese africano e conosceva vita e problemi del posto.Si crede che a causare la morte dell'amico d'infanzia sia stato qualcuno, che lo conosceva bene, per rubargli una somma in valuta locale che, insieme con posate d'argento (un servizio completo), veniva custodita in un armadio metallico; danaro e posate che, invece, dopo la sua morte, non furono trovati.

Erano regali, a quanto sembra, di un familiare ch'era andato a trovarlo.

Non risultarono menzionati nell'inventario redatto dai responsabili della missione, venuti appositamente da fuori; nessuno li ritrovò mai.

Un beone, legato al missionario da comunanza di origini, faceva piccoli affari nel paese africano come agente di commercio e, non di rado, soggiornava nella missione, approfittando dell'ospitalità. Pare chiedesse anche un po' di danaro, per ubriacarsi, al compagno di giochi dell'infanzia.

Conoscendo i problemi di salute del missionario, sapeva bene che questi soffriva d'asma. E, ancora, che teneva sempre e a portata di mano medicine, conservate in frigorifero, per evitare crisi improvvise, che si sarebbero potute rivelare mortali.

Sarebbe stato, dunque, sufficiente non somministrargli quelle medicine, in occasione di una delle frequenti crisi, per assistere alla sicura morte del missionario e impossessarsi del contenuto dell'armadio, danaro e argenteria.

Le cose sono andate in questo modo? Nessuno può dirlo.

L'ubriacone era presente nella missione in concomitanza con la morte del missionario.

Artefice, pur involontario, di quella morte fu, tuttavia, il familiare del missionario che aveva insistito per dargli soldi e argenteria, più volte rifiutati, forse quale presagio.

 

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Mauricio