STRUMENTI DELLO SPIRITO

 

IL CHIROMANTE


Dalla squallida e deserta locanda Tre Stelle, dove temporaneamente alloggiava il chiromante, unico ospite, vide uscire quel conoscente del padre che, con fare soddisfatto, continuava, già in strada, a guardarsi le mani.

Era ansioso di imitare quell'uomo, semplice e libero, e di fare anche lui quell'esperienza.

Aveva letto e riletto quell'annuncio, dai grandi caratteri, ben visibile sulla porta a vetri della locanda. Conosceva a memoria giorni e ore nelle quali il chiromante riceveva e costo dell'operazione.

La locanda era sulla via di casa, che percorreva molte volte al giorno e notava ogni volta con curiosità e attrazione quel pezzo di carta.

Superate le non poche incertezze di ragazzino con pantaloncini corti, si trovò di fronte al chiromante; era impacciato, frastornato da vaghi timori e si vergognava anche.

Era irresistibilmente attratto da quel mondo fantastico, vicino alla magia, che l'affascinava enormemente allora e dopo, sempre.

Il chiromante lo deluse; non aveva alcunché di magico, d'irreale o d'insolito nell'aspetto; era fatto di carne, ossa e lardo. Un uomo come tanti.

Grosso, alto, scuro di capelli, di carnagione olivastra e sudaticcio per il caldo,afoso con aggiunta di scirocco, eccessivo pure in quel maggio di quel pezzettino di palcoscenico quasi nordafricano.

Osservò e studiò attentamente le mani del ragazzino per concentrarsi, infine, su quella del cuore.

Sentenziò che avrebbe avuto riuscita ma in età avanzata; famiglia, figli, disponibilità economiche pur senza diventare ricco; che sarebbe stato da adulto uomo politico trascinatore di folle e che sarebbe morto a settanta anni circa.

Gli anni a disposizione sembrarono pochi al ragazzo; voleva vivere per moltissimi anni, un numero indefinito, possibilmente in eterno e, poi, non gli piaceva sentir parlare di morte perché, allora, temeva la morte, non sapendo esattamente cosa fosse.

Pur ragazzino, non credette a quelle parole e pensò che il chiromante parlasse quasi per giustificare il compenso di quella lettura, cinquecento lire, che entrando aveva messo sul suo tavolo.

Il fascino per la chiromanzia rimase, anche dopo, integro comunque; comprò alcuni libri che lesse, si legò per qualche tempo ad una donna con similari interessi e con buone conoscenze sull'argomento, che l'aiutò a fare progressi notevoli.

Divenne quasi un esperto, un vero chiromante, per hobby s'intende.

Senza rendersene conto, il chiromante non professionista si trovò spesso circondato da amici, colleghi e conoscenti che gli chiedevano di leggere loro la mano.

Alcuni, particolarmente le donne, dicevano che indovinava tutto, che quanto profferiva era vero; successivamente, per casi in evoluzione, si confermava l'esattezza delle sue previsioni, puntualmente poi realizzatesi.

Decise di smettere; non aveva fiducia nelle sue attitudini di chiromante per hobby e, spesso, solo per scherzo.

Gli sembrò più serio non illudere il prossimo, non ingannare se stesso.

L'interesse, la curiosità e il fascino per le mani rimase, in ogni caso, una sua caratteristica costante.

La burbera, buona segretaria di un tempo gli regalò il posacenere a forma di mano perché rivolgendosi a lei, diceva spesso, pur senza rendersene conto, per favore, mi dia una mano.

E finì per avere realmente la mano ovvero quel posacenere massiccio e verdognolo che non gli piacque affatto.
Poi, cominciò a collezionare mani di porcellana.

Acquistò, la prima, con ansia e decisione, in un negozio berlinese ch'era sempre chiuso quando percorreva in macchina quel tragitto. Dovette interrompere il lavoro per fare quell'acquisto; la mano era lo stampo per produrre guanti di gomma.

Ebbe, infine, l'idea d'inserire mani nei dipinti: la sua mano, quella della moglie, di alcune modelle, della figlia, di amici, di giovani e meno giovani artisti e altre ancora; quelle che gli sembravano più utili o interessanti per l'idea che voleva sviluppare nel quadro.

A Delhi e a Bombay (Mumbai), si fece leggere ancora la mano e apprese cose vere, verosimili, ben diverse da quelle sentite a suo tempo dal chiromante della locanda Tre Stelle.

Oramai, più avanti nella vita, quell'artista offriva non pochi spunti e argomenti ai chiromanti indiani che spesso c'azzeccavano.

Malgrado conoscesse la vita e i suoi problemi, anche per via dei chiromanti,andava incontro a quello che sicuramente sarebbe accaduto, favorendo e non ostacolando la realizzazione di quanto doveva verificarsi in ogni caso e che, con altre parole, si chiama la fine di tutto e per sempre ovvero la distruzione fin dalle fondazioni del palazzo, costruito mattone su mattone, in tanti lunghissimi, duri ma piacevoli anni.

Che è come dire l'inizio di tutto, la riedificazione di un grande castello,solidissimo e resistentissimo, ancor più di quel palazzo.

La sua opposizione sarebbe stata allora inutile; forse la situazione non lo rendeva nemmeno triste; disturbava e innervosiva moltissimo l'impossibilità difare alcunché ovvero l'impotenza totale.

Così doveva essere perché così, da qualche parte, era stato scritto; nulla, in questo o in altri mondi, poteva modificare il corso di quegli eventi che si verificarono in tutta la loro completezza e perfezione.

Una tesi o un atteggiamento rinunciatario; è proprio così?
Ci sono situazioni della vita che ci trovano agguerriti, pronti alla lotta fino all'ultima goccia di sangue, fino a vincere o morire. Non è stato questione di rinunciare ma di scegliere.

In talune situazioni, lo si è imparato a proprie spese, ci si può solo illudere oppure osservare quello che succede ed accettarlo. È pur sempre un modo, consapevole, di realizzare sé stessi, la propria vita.

 

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