IL NOSTRO TEMPO


SCRIVERE



Perché scrivere? Non si riesce a far altro; non si vuole e non si può dipingere, l'essenza della vita o la vita stessa. Manca dunque la motivazione al vivere, che si cerca di ritrovare e riprendere, scrivendo.

Non si scrive per dire o raccontare qualcosa che rimanga anche quando gli attori non ci saranno più, come fa qualcuno.
Quest'aspetto, qui, non interessa e non rileva.

La scena appare vuota; gli attori non ci sono più, sono andati via. Gli attori non ci sono stati mai, erano solo fantasmi.
E qualche comparsa.

Anche gli spettatori non ci sono mai stati. Un'illusione ottica!

Amori, relazioni, amici, affetti, impegni e altre attività non ci sono più; tutto è finito, s'è consumato, s'è speso.

Non resta alcunché, soltanto il vuoto.

S'è raggiunto il risultato, s'è sfiorata la perfezione, s'è realizzato il completo distacco.

Solitudine e isolamento, lontananza da ogni cosa non disturbano anzi gratificano; appagano profondamente.

Un solo motivo induce a non abbandonare definitivamente il palcoscenico: le mani del futuro, quelle della figlia, quasi riprodotte in sei differenti movimenti nel quadro a lei dedicato, quand'aveva sei anni, e dall'omonimo titolo, cambiato, poi, ironicamente in le sei mani del successo.

Sono la sola motivazione per restare, il solo legame col futuro, quell'OM che sintetizza passato, presente e futuro.

E poi, non poca viltà!

La solitudine in sé non rafforza legami col palcoscenico anzi li allenta e suggerisce felici dipartite che, comunque, non si ha libertà e coraggio d'intraprendere, almeno per ora.

Si resta per mani che hanno e possono dare futuro; certezze anche?

Restando ma non vivendo, quindi non dipingendo, si può solo scrivere che, in fondo, è lavoro imparentato con colori e pennelli e di cui, forse, si conoscono i rudimenti dei ferri del mestiere; alcuni almeno.

Si cerca, pur senza riuscirvi, di comprendere l'asserzione di Brodskij secondo il quale ...nel ramo dello scrivere ciò che s'accumula non è la pratica ma incertezze. Cheè solo un altro nome per indicare i ferri del mestiere.

Le incertezze che s'accumulano per chi non è poeta e premio Nobel non sono i ferri del mestiere di chi ora scrive, il quale non si preoccupa affatto di possederli o meno.

S'accumulano, invece e in maniera crescente, incertezze esistenziali, sul senso del proprio vivere, del proprio esistere; incertezze sulle finalità della propria vita che è come dire perché come, che cosa dipingo?

Qual'è il messaggio pittorico che tento di portare avanti?

Il che equivale a chiedersi, ad interrogarsi con arroganza e presunzione: qua-l'è lo scopo della vita di un pittore?

E il senso dell'esistenza in generale, quella di tutti, anche dell'ultimo individuo che sale sull'autobus, pieno come un uovo, con porte che non sempre si riesce a chiudere, in fredde ore mattutine di giornate lavorative invernali, in popolosi quartieri di grandi città?

Autobus traboccanti di operai e impiegati, senza volto e senza storia, studenti rumorosi o allegri ma parimenti anonimi, extracomunitari ansiosi d'iniziare quelle vendite di strani prodotti nelle vicinanze di carnai metropolitani, sfruttati da organizzazioni ch'è meglio non definire.

Qual'è il senso di quest'agitarsi, di questo affannarsi?

Qual'è il significato e il valore della vita del mendicante, del barbone, del drogato, del bambino che la notte vende fiori nei ristoranti, dei prostituti di qualsiasi sesso ed età, anche bambini, e quella dei loro genitori?

E la vita del ladro, del magnaccia, del ricattatore, dell'assassino, del violentatore, della guardia carceraria, del direttore del ministero, dell'impiegato che non fa o che fa carriera, del politico non onesto, dello scienziato che non si fa scrupoli, del fornaio, del barbiere, del salumaio, del medico avido, della cassiera anziana del supermercato?

Vegetare o vivere?

Qual'è il senso della vita per un eterno fuggitivo? Potrà fermarsi e guardare anche una sola volta la vita?

I dubbi e le incertezze non concernono lo scrivere ma l'andare avanti senza senso, a tentoni.

Ci si rifiuta, pur con le sole energie rimaste e senza alcuna maschera che non s'è mai portata, di continuare a recitare sul palcoscenico vuoto del teatro buio e silenzioso.

Si può solo immaginare e, forse, intravedere un cadavere ambulante, una sorta di fantasma, che sembra apparire per scomparire subito dopo; infine ripresentarsi sul palcoscenico con penna, carta, inchiostri, dizionari, libri che s'accinge ad usare.

Non sembra preoccuparsi di riempire i fogli con parole o segni; vuole solo movimentare la scena, cercare di ridare un po' di senso a quel vuoto, a quel buio, a quel silenzio.Gli attorucoli, si sa, conclusa quell'elementare recita e denudatisi i visi, hanno cambiato genere; recitano da fantasmi.

Qualcuno di loro o come loro - pure fantasma? - si sente attratto e in debito col futuro.

Scrive, dunque, non perchè, ciò sia la vita, ma per vivacizzare la scena, animare il palcoscenico, far ritornare autentici attori e un pubblico vero; e per cacciar via i fantasmi.

Con altre parole, scrivere non equivale a vivere, ma aiuta a trovare legami esistenziali, motivazioni per dipingere; vivere è dipingere.

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